“Ogni creazione non è mai solo un ornamento: è un messaggio, una porzione del mio mondo interiore che prende vita e dialoga con quello degli altri”: queste le parole di Susanna Testa, giovane creativa e fondatrice di Pannalù, un mondo di gioielli che raccontano storie di emozioni, fragilità e desideri.
Come nasce la tua passione per il gioiello?
La mia passione per il gioiello non è stata un colpo di fulmine, ma il risultato di un intreccio di incontri, curiosità e riflessioni che mi hanno portata a scoprire il potenziale di questo linguaggio. Da bambina trascorrevo ore a disegnare, immergendomi in mondi immaginari fatti di forme morbide e personaggi fantastici. Crescendo, l’illustrazione è rimasta per me una forma di espressione essenziale, un rifugio in cui tradurre emozioni difficili da raccontare a parole. Quando sono approdata al Politecnico di Milano per studiare Fashion Design, immaginavo un futuro nel mondo dell’abbigliamento, ma grazie ad alcuni incontri significativi e all’evoluzione del mio percorso di crescita personale ho scoperto il design del gioiello.
Questo mondo mi ha rivelato un nuovo modo di pensare alla relazione tra forma e corpo. A differenza dell’abbigliamento, che comunica con il corpo in maniera estensiva e visibile, il gioiello crea un legame più puntuale, intimo e profondo: non è solo un accessorio, ma un’estensione emotiva e identitaria di chi lo indossa. Mi ha conquistata la possibilità di dare tridimensionalità alle mie idee. Trasformare i miei disegni in oggetti tangibili, fatti per essere vissuti e indossati, mi ha permesso di unire il mio amore per l’illustrazione alla scoperta della materialità. Il gioiello è diventato un mezzo per raccontare storie, per trasformare fragilità ed emozioni in forme cariche di significato. Ogni creazione non è mai solo un ornamento: è un messaggio, una porzione del mio mondo interiore che prende vita e dialoga con quello degli altri.
La mia passione per il gioiello nasce proprio da questa alchimia: la possibilità di trasformare ciò che è intangibile, come un’idea o un’emozione, in un oggetto concreto, capace di creare connessioni. È una passione che viene alimentata dalla ricerca, dal mio lavoro di insegnamento in università, dai viaggi, dal confronto con persone che stimo e con cui condivido valori e una profonda connessione creativa ed estetica e dalle nuove storie che contribuiscono a dare forma e significato al progetto.
Quando è nato il tuo brand e perchè hai deciso di intraprendere questa avventura?
Pannalù è nato ufficialmente nel dicembre 2022, ma l’embrione di questa idea aveva preso forma molto tempo prima, quasi senza che me ne rendessi conto. Durante i momenti di attesa, disegnavo quelli che sarebbero diventati i prototipi della mia prima collezione: mostrini buffi e imperfetti, liberi da ogni vincolo o aspettativa. Quei disegni, nati per gioco, contenevano già tutto quello che è Pannalù.
La spinta definitiva è arrivata durante il lockdown, un periodo in cui, come molti, ho sentito il bisogno di rimettere a fuoco le mie priorità. Ho capito che quel progetto, fino a quel momento rimasto nella mia testa, era qualcosa che volevo portare alla luce. Volevo creare uno spazio che fosse rifugio e libertà, che mettesse a tema le fragilità.
L’ho fatto per dare forma a un immaginario che non poteva più restare confinato al disegno, ma che sentivo il bisogno di trasformare in oggetti concreti, capaci di raccontare storie e di entrare in relazione con chi li sceglie. Pannalù è nato così: dall’incontro tra la mia necessità di esprimermi e il desiderio di creare qualcosa che fosse autentico, capace di dialogare con chi vede nella fragilità e nell’imperfezione una bellezza da accogliere e valorizzare.
Qual è stato il percorso formativo che hai seguito e che ti ha portato a sviluppare le competenze necessarie per il tuo lavoro?
Il mio percorso formativo è stato un viaggio fatto di deviazioni e scoperte, un intreccio di esperienze che mi hanno portato a costruire una visione articolata del design. Ho iniziato con una breve parentesi nello studio delle lingue, ma presto ho capito che non era la mia strada. L’ho trovata al Politecnico di Milano, nel corso di laurea in Fashion Design, dove mi sono avvicinata al mondo del design del gioiello, scoprendone il potenziale non solo come oggetto estetico, ma come mezzo per raccontare storie, esprimere identità e creare connessioni.
Dopo la laurea, ho intrapreso un dottorato in Design, concentrandomi sull’innovazione nel mondo dell’accessorio. Parallelamente, ho avuto l’opportunità di lavorare su progetti accademici e collaborare con aziende, immergendomi in contesti diversi: dalla curatela di mostre alla progettazione di prodotti. Queste esperienze mi hanno permesso di esplorare tanto la ricerca teorica quanto l’applicazione pratica, ampliando il mio sguardo sul design.
Questo percorso mi ha insegnato a muovermi tra diverse scale e contesti, dal dettaglio tecnico del prodotto alla costruzione di un immaginario più ampio. Pannalù nasce infatti dall’idea di fondere competenze creative e ricerca teorica con una visione profondamente personale.
Qual è la tua missione e quali sono i valori del brand?
La missione di Pannalù è raccontare storie attraverso oggetti che non si limitano a decorare, ma che instaurano un dialogo intimo con chi li indossa. Ogni gioiello è pensato come un talismano, un segno tangibile che accompagna e racconta, capace di accogliere fragilità, emozioni e desideri e di intrecciarsi alla quotidianità.
Non si tratta di decorazione, ma di un gesto progettuale che restituisce valore a ciò che spesso viene considerato fragile o marginale.
I valori che guidano il brand sono radicati nell’autenticità e nell’inclusività. Pannalù celebra l’artigianalità italiana, con una produzione attenta e consapevole, realizzata in piccole serie per rispettare il valore del tempo e delle risorse. Al centro c’è sempre il desiderio di costruire un immaginario accogliente, dove la delicatezza non è mai sinonimo di debolezza, ma di una forza silenziosa, capace di lasciare il segno senza gridare.
Quali sono state le difficoltà, o meglio le sfide, più importanti per il tuo brand?
Le sfide per Pannalù sono state diverse, e a diversi livelli, e ognuna ha contribuito a definire ciò che il brand è oggi. Una delle prime difficoltà è stata trovare il mio spazio in un settore come quello del gioiello, che spesso richiede una solidità e una credibilità difficili da conquistare per un piccolo brand emergente. La produzione, in particolare, è stata un terreno complesso: lavorare con artigiani italiani, mantenendo alta la qualità e rispettando la mia visione creativa, ha significato confrontarsi con tempi lunghi e la necessità di far comprendere a chi produce l’unicità del progetto, di trovare qualcuno che ci credesse davvero.
Sul piano personale, la sfida più grande è stata imparare a convivere con il perfezionismo, quel bisogno di avere sempre tutto sotto controllo che rischia di paralizzare il processo creativo.
E poi la sfida di esporsi. Pannalù è un progetto profondamente personale, e mettere qualcosa di così intimo sotto gli occhi di tutti è stato, ed è tuttora, un atto di vulnerabilità. Ma ho scoperto che aprirsi un po’ di più è necessario e anche positivo, permette di creare un legame autentico con gli altri.
Cosa consigli a un giovane che desidera intraprendere questo cammino?
Direi innanzitutto di credere profondamente nel proprio progetto. Questa fiducia non è solo il punto di partenza, ma il motore che permette di affrontare le difficoltà e i momenti di dubbio. È fondamentale sapere perché si stia costruendo qualcosa e ancorarsi a quella motivazione ogni volta che il percorso diventa incerto.
Un altro aspetto importante è circondarsi delle persone giuste. Che siano collaboratori, amici o familiari, avere accanto qualcuno che comprenda e sostenga la tua visione fa una grande differenza. Nel mio caso, il confronto continuo con persone che condividono la mia sensibilità è stato essenziale per mettere in discussione e affinare le mie idee e portarle avanti.
Poi, non bisogna avere paura del cambiamento. Il mondo evolve rapidamente, e rimanere curiosi e aperti a ciò che accade intorno è una risorsa preziosa. Ogni esperienza, anche apparentemente lontana dal proprio percorso, può essere uno spunto per migliorare o reinventare ciò che stai facendo.
Infine, accettare che l’errore sia parte del processo. Non tutto andrà come previsto, e non è un fallimento. Guardare agli imprevisti come opportunità è un approccio che può trasformare le difficoltà in momenti di svolta.
Cosa sogni per il futuro?
Sogno che Pannalù continui a crescere come universo creativo, accogliendo nuovi progetti e ampliando le sue possibilità espressive, mantenendo sempre il messaggio di delicatezza e inclusività. Mi piacerebbe esplorare altre categorie di accessori, spingendomi oltre il gioiello, per costruire un linguaggio che continui a evolversi senza perdere coerenza con la visione iniziale.
Immagino collezioni che dialoghino con quelle precedenti, ma che introducano anche elementi di rottura e novità. Nel mio lavoro do grande importanza alla componibilità e alla modularità: mi piace pensare che ogni creazione possa intrecciarsi con le altre, dando vita a combinazioni inaspettate e personali, che crescano insieme a chi le sceglie.
Il mio sogno è che Pannalù sia percepito come un universo aperto, capace di accogliere idee, storie e fragilità, trasformandole in oggetti significativi che trovano il loro posto nelle vite delle persone, mantenendo sempre un equilibrio tra intimità e condivisione.