Salvador Dalí

storia dell’enfant terrible tra follia e genialità

Salvador Dalí

All’età di sei anni volevo essere un cuoco. A sette volevo essere Napoleone. E la mia ambizione è andata crescendo costantemente sin da allora.” Salvador Dalí nacque a Figueres, in Spagna, nel 1904. Ogni mattina si alzava dal letto e, per sua stessa ammissione, provava “un sommo piacere: quello di essere Salvador Dalí”. Geniale, eccentrico, pungente, a tratti folle, fin da giovane ha sempre superato i limiti. Nel 1926, a ventidue anni, venne espulso dall’Accademia d’Arte di S. Fernando a Madrid a causa di atteggiamenti sfrontati verso i suoi professori. E nella sua vita non ha mai nascosto la sua personalità di enfant terrible.

Ammiratore dei contemporanei Picasso e Mirò, ma anche di Raffaello, di Rubens, di Dürer, di Vermeer, e di Velazquez, da cui ereditò i distintivi baffi lunghi ed arricciati, Dalí elaborò un personalissimo stile artistico fatto di straordinari contrasti, enigmi, illusioni e simboli. Il tutto condito da un’inconfondibile ironia e uno spiccato gusto per l’eccesso. Introdusse l’arte in un territorio fino ad allora inesplorato: la psiche più profonda. Intorno agli anni ’30, infatti, Dalí si unì a Parigi al movimento d’avanguardia surrealista, composto da artisti innovativi che amavano rappresentare un mondo di immaginazione, di fantasia, di mistero, in cui nulla era come appariva. L’arte fu dominata dalla dimensione dell’inconscio, dove ogni restrizione della ragione era abolita, in favore di bizzarria e irriverenza, chiave di opere sempre più esuberanti. “Siamo tutti affamati e assetati di immagini reali. L’arte astratta sarà buona per una cosa: restituire all’arte figurativa la sua esatta verginità.” Affermò Dalí. Persino Sigmund Freud, le cui teorie di psicanalisi furono grande fonte d’ispirazione per l’arte surrealista, rimase a tal punto affascinato da Dalí, da spingersi ad indagare l’arte originata da quello che definì “un serio problema psicologico”.

 

Dalì Atomicus, Philippe Halsman, 1948

Il surrealismo divenne presto il movimento artistico più influente del ventesimo secolo. Ma Dalí non si omologò mai. Né da un punto di vista artistico né politico, tanto da perdere in pochi anni il favore dei suoi compagni. “La differenza tra me e i surrealisti è che io sono surrealista”, dichiarò candidamente. In quegli anni Salvador Dalí realizzò alcune delle sue opere più celebri, tra cui Giraffa In Fiamme, Sogno Causato Dal Volo Di Un’Ape Intorno A Una Melagrana Un Secondo Prima Del Risveglio,Metamorfosi Di Narciso, Cigni Che Riflettono Elefanti e, infine, la più rappresentativa in assoluto, La Persistenza Della Memoria. In quest’ultima, compaiono numerosi simboli tipici dell’universo daliniano: gli orologi molli, che rappresentano la tirannia del tempo, il volto allungato con le lunghissime ciglia, gli insetti. Il talento innato consentì a Dalí di conquistare velocemente una fama internazionale. “Ci sono giorni in cui credo di morire per un’overdose di soddisfazione” avrebbe aggiunto lui.

Durante il Rinascimento, i grandi artisti non si limitavano a un singolo mezzo. Il genio di Leonardo da Vinci si è innalzato ben oltre i confini di un quadro”. Dalí, definendosi “paladino di un nuovo Rinascimento”, rifiutò sempre di porre dei limiti alla sua arte, e si interessò non solo alla pittura, ma anche alla scultura, alla scienza, alla fotografia, e a numerose altre discipline, come il cinema. Collaborò, infatti, con celebri registi cinematografici, come Luis Buñuel e Alfred Hitchcock. Insomma, la monotonia non ha mai trovato spazio nel turbinio di follia ed esuberanza della sua vita. Si appassionò inoltre di moda: come dimenticare l’iconica collaborazione con la stilista Elsa Schiaparelli? Un connubio unico e stravagante, due personalità eccentriche la cui creatività si rivelò complementare e diede origine a pezzi che hanno scritto la storia della moda. Tra questi, l’abito in seta bianco decorato con una rossa aragosta, l’abito-scheletro, il famosissimo cappello a forma di scarpa col tacco rivolto verso l’alto, gli strabilianti tailleur con tasche a forma di cassetti. Dalí realizzò persino quattro copertine per Vogue.

Il genio artistico realizzò inoltre sorprendenti gioielli. “Benvenuto Cellini, Botticelli, da Lucca crearono gemme decorative, calici, coppe, ornamenti ingioiellati di possente bellezza.” Questi i nomi di artisti a trecentosessanta gradi cui si ispirò. Dalí amava profondamente l’oro, che considerava come un materiale sacro, una celebrazione dell’anima e un segno di purezza. D’altronde, “nei gioielli, come in tutta la mia arte, io creo ciò che amo”. Oltre all’oro, le sue opere sono un’esplosione di diamanti, rubini, perle, smeraldi. Dalì voleva che i suoi gioielli stimolassero un’estasi spirituale nello spettatore. Tra i più magnifici, troviamo il Cuore Reale, un gioiello meccanico che riproduce il battito incessante di un cuore tempestati di rubini. Fu creato in onore dell’incoronazione della regina Elisabetta II d’Inghilterra. L’elemento del cuore fu realizzato da Dalí anche nel suo gioiello Cuore A Nido D’Ape, il quale rappresenta la dolcezza che “è nel cuore di ogni donna”. Straordinario il gioiello Labbra Rubino, che reinterpreta in chiave surrealista il cliché poetico delle labbra. Degni di attenzione sono inoltre gli Orecchini Telefono, in oro, diamanti, rubini e smeraldi: “L’orecchio è simbolo di armonia ed unità; il design del telefono ricorda la velocità della comunicazione moderna – la speranza e il pericolo di uno scambio istantaneo di pensieri”. Anche nei gioielli, l’artista esprime la sua personale visione dell’universo e ripropone i temi della metamorfosi, dell’immaginazione, dell’illusione. Come nel gioiello La Persistenza Della Memoria, che riprende l’illustre dipinto. Anche l’Occhio Del Tempo, realizzato in platino, rubini e diamanti, rappresenta uno sguardo che vede attraverso il presente e il futuro, e rimanda all’ambiguità del tempo, che non può essere in alcun modo sovrastato. Chi non riconoscerebbe la mano di Salvador Dalí nell’effetto visivo dell’opera Albero Della Vita? La collana in oro e diamanti è in realtà un prezioso tronco da cui pende un viso dalla ispirazione antropomorfa. “(Questi gioielli) sono stati creati per compiacere la vista, elevare lo spirito, stimolare l’immaginazione, esprimere convinzioni.” Tuttavia, “senza una audience, senza la presenza di spettatori, questi gioielli non riuscirebbero a compiere la funzione per cui sono stati creati.

In conclusione, finché vi sarà un pubblico, l’arte di Salvador Dalí continuerà a vivere: “è lo spettatore l’artista definitivo”. Così Dalí, celebrando la soggettiva interpretazione, ci dimostra la forza inesorabile della follia dell’animo umano, unico nella sua complessità, in opposizione alla freddezza delle leggi della razionalità. Proprio questa forza è il motivo per cui tali opere sono destinate all’eternità: perché coinvolgono, stupiscono, meravigliano, scandalizzano, stravolgono e toccano l’umanità nel profondo, senza rispettare nessuna regola, e prescindendo dal tempo di un’epoca passata. Usando le parole del grande, visionario Dalí: “Ho un pensiero daliniano: l’unica cosa di cui il mondo non avrà mai abbastanza è l’esagerazione.

Salvador Dalí e il rinoceronte, Philippe Halsman, 1956