Il gioiello nell’antica Roma: il fascino delle gemme tra miti e leggende

Ritratto di donna, dalla necropoli di El-Fayuum, II sec. d.C

Roma porta con sé una storia gloriosa. Dalla sua fondazione, tradizionalmente fissata al 753 a.C., la città è arrivata a dominare e unificare il mondo antico, e la sua impronta è rimasta indelebile sotto ogni aspetto culturale. Anche l’oreficeria ha visto nell’antica civiltà romana uno sviluppo grandioso, nonostante abbia tardato ad esprimersi in tutta la sua maestosità fino all’inizio dell’età imperiale.

Fin circa alla seconda metà del I secolo a.C., infatti, lo sviluppo della gioielleria era stato contrastato da un sentimento di diffidenza e disprezzo verso il lusso e lo sfarzo, considerati immorali e inconciliabili con la sobrietà della tradizione romana. Tuttavia, a partire da quel periodo, i Romani si abbandonarono sempre più al fasto e all’ostentazione, adornandosi di raffinati gioielli. L’oreficeria romana si discostava, tuttavia, dall’opulenza decorativa della tradizione etrusca e greca di cui era erede, orientandosi piuttosto verso uno stile più semplice, dalle linee pulite e geometriche. I monili erano realizzati in oro e gemme come smeraldi, zaffiri, diamanti, ametiste e perle.

Collana in oro e smeraldi, I / II sec. d.C.

Alle gemme erano legati miti e leggende. Ad esempio, l’origine dell’ametista era legata alla storia della ninfa che portava il suo nome. Secondo il mito, Bacco, dio del vino e dell’esaltazione dei sensi, si innamorò follemente della bella ninfa Ametista dalla quale non fu però ricambiato. In preda alla rabbia e all’ebrezza, il dio decise di scatenare per vendetta una bestia feroce contro Ametista. La dea Diana, accorsa in aiuto della ninfa quando ormai la belva stava per ucciderla, per salvarla la tramutò in una gemma. Bacco, pentito del suo gesto, decise di versare su Ametista il migliore dei suoi vini, conferendole così il colore caratteristico. Il mito rese l’ametista un prezioso simbolo di sobrietà per i Romani. Anche gli smeraldi, che venivano importati dalle miniere d’Egitto, erano oggetto di affascinanti miti. Una leggenda narra che le pareti delle cosiddette “miniere di Cleopatra” fossero interamente dorate, punteggiate solo da smeraldi, che potevano essere estratti solo da coloro che sapevano comunicare con i defunti. La mitologia greca e poi romana raccontava anche l’origine divina delle perle: si credeva che fossero originate dalle lacrime degli dèi.

Proprio le perle furono le grandi protagoniste del gioiello romano. Durante il periodo imperiale erano considerate le più preziose e seducenti tra le gemme. Lo scrittore Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) espresse addirittura nella celebre opera Naturalis Historia la sua disapprovazione per questo trend per via delle pericolose circostanze in cui i pescatori rischiavano le proprie vite o addirittura morivano per ottener e le perle. Tante sono le leggende attorno a queste gemme. Ad esempio, secondo un aneddoto, lo stravagante imperatore Caligola, in un impeto di amore per il suo cavallo, gli regalò una magnifica collana di perle. L’imperatore Nerone, invece, amava rotolarsi fra le perle come passatempo. Un’altra interessante leggenda riguarda Cleopatra e racconta che la regina, per dimostrare a Marco Antonio di poter spendere 10.000.000 sesterzi per un solo banchetto, il più ricco di sempre in suo onore, dissolse una delle due perle più grandi che possedeva nell’aceto e lo bevve. L’altra perla fu divisa in due e offerta, nella forma di due orecchini, come dono alla dea Venere nel Pantheon.

Gérard de Lairesse, Banchetto di Cleopatra, 1680

Tra i gioielli più diffusi tra i Romani vi erano anche gli amuleti magici, in particolare sotto forma di pendenti, che servivano a difendersi dagli spiriti maligni. Tra i più celebri, la lunula, dalla forma di crescente lunare. Essa veniva indossata dalle donne, fin da quando erano bambine, per propiziare la fertilità. Molto amati erano anche gli anelli, che potevano rappresentare un simbolo di status sociale o un pegno d’amore. I Romani, infatti, si scambiavano l’equivalente odierno dell’anello di fidanzamento, l’anulus pronubus, e il vinculum, la fede nuziale, e come noi, li indossavano nell’anulare sinistro poichè da questo dito passa la vena amoris, collegata direttamente al cuore. Anche le fibule erano considerate un gioiello di grande importanza in quanto, oltre all’essere un utilissimo gioiello funzionale, la loro funzione divenne simbolica: si pensava infatti che preservassero le virtù interiori di chi le indossava.

Collana in oro con lunula, I / III sec. d.C.

Se pensiamo al periodo romano, è impossibile non citare la corona fogliata in oro: Giulio Cesare la utilizzò per primo per celare la propria calvizie e diventò poi di uso permanente per gli imperatori romani come simbolo di gloria. Molto comuni erano inoltre i gioielli che presentavano a scopo celebrativo monete con l’effigie degli imperatori e i cammei, con rappresentazioni magistrali di scene elaborate e complesse.

La città di Roma con la sua storia è simbolo eterno di arte e bellezza. La sua grandezza è ancora oggi tangibile attraverso testimonianze nella pittura, nell’architettura, nella letteratura, così come nell’oreficeria. E poi ci sono i miti, le leggende, le simbologie che ne rivelano gli aspetti più nascosti e lasciano correre la fantasia, permettendo all’immaginazione di respirare la grandiosa cultura dell’Urbe.

Fibula in oro, III / IV sec. d.C.