Sono numerosi gli artisti italiani che durante il Rinascimento hanno dato vita, con la propria eccellenza, ad un patrimonio artistico di inestimabile valore, e le cui affascinanti storie hanno lasciato una traccia indelebile nell’identità del bel paese. Tra queste influenti personalità spicca certamente Benvenuto Cellini, orafo, argentiere, scultore, prosatore e poeta, nato nel 1500 a Firenze e vissuto fino al 1571. Con le proprie opere egli incarna alla perfezione l’amore per la bellezza e la maestria distintivi dell’attività artigiana di Firenze, città che da sempre si nutre di tesori artistici unici al mondo.
Fin da giovanissimo Cellini si dimostra destinato a grandi opere: all’età di quindici anni inizia a lavorare come apprendista presso la bottega di Antonio di Sandro, e il suo talento innato viene subito valorizzato. Il fuoco della passione arde già dentro il giovane, che a differenza dei suoi colleghi lavora solamente per piacere, senza nemmeno ricevere un salario. Infatti il padre, che desidera per il figlio un futuro nella musica, cerca di ostacolarne la vocazione verso l’oreficeria, impedendo che egli riceva un compenso per le proprie prestazioni. Tuttavia la soddisfazione arriva dal cuore: “fu tanta la gran voglia o sì veramente inclinazione, et l’una e l’altra, che in pochi mesi io raggiunsi di quei buoni, anzi i migliori giovani dell’arte, e cominciai a trarre frutto delle mie fatiche”, scrive Cellini nella sua opera autobiografica La Vita, ricordando la sua giovinezza.
“In tutte le sue cose animoso, fiero, vivace, prontissimo e terribilissimo, e persona che ha saputo pur troppo dire il fatto suo con i principi, non meno che le mani e l’ingegno adoperare nelle cose delle arti”, così lo descrive il contemporaneo Giorgio Vasari nella celebre opera Vite (1550). Benvenuto Cellini è infatti impetuoso, a volte peccaminoso e violento. Riceve molteplici accuse, tra cui quella di sodomia, che all’epoca poteva essere punita con la reclusione, e rimane più volte coinvolto in risse ed episodi violenti, che lo costringono a lasciare Firenze e gli costano perfino il carcere. Nonostante si sia macchiato di nientemeno che tre omicidi, egli è convinto che attraverso le proprie creazioni artistiche otterrà la salvezza dell’anima da Dio. Nella propria autobiografia si rivolge infatti frequentemente al “Dio della natura”, che gli ha concesso un talento dietro al quale si cela una vera e propria chiamata divina.
Rifacendosi all’estetica manierista, l’artista realizza nel corso della propria vita opere di incommensurabile valore. A Roma, ottiene la protezione di Papa Clemente VII e produce per lui straordinarie medaglie e sigilli. In Francia, offre a Francesco I una delle sue opere più celebri, ovvero la saliera realizzata in oro ed ebano, con la rappresentazione del dio Nettuno e della dea Terra. Le due figure incrociano le gambe, e dal loro incontro ha origine il sale. Compaiono inoltre in basso le figure di Aurora, Giorno, Crepuscolo e Notte. Il capolavoro di alta oreficeria, che è stato oggetto di furto nel 2003, poi fortunatamente ritrovato a distanza di tre anni, risale al 1543 ed è oggi conservato al Museo Kunsthistorisches di Vienna. Sempre per Francesco I realizza inoltre la Ninfa di Fontainebleau, rilievo in bronzo risalente al 1543-44 e oggi custodito al Museo del Louvre, Parigi.
Tra tutte le opere di Benvenuto Cellini, gode di grande fama la statua di Perseo, commissionata da Cosimo I de Medici per la Loggia dei Lanzi, in Piazza della Signoria a Firenze. L’eroe mitologico regge con la mano sinistra la testa di Medusa, e con la mano destra impugna la spada che ha usato per reciderla. I piedi, che calzano un paio di sandali alati donati a Perseo direttamente da Ermes, poggiano sul corpo della Gorgone appena uccisa. Il capo è protetto da un elmo magnificamente decorato. La statua, universalmente considerata una delle più alte testimonianze di scultura manierista italiana, simboleggia secondo molti critici l’alter ego dell’artista, un possente eroe che trionfa nella lotta contro le avversità della vita, contro il “crudel Destino”.
Cellini ci ha inoltre lasciato diverse opere letterarie, tra cui ricordiamo Rime, Trattato della scultura e Trattato dell’oreficeria. In quest’ultimo l’artista insegna minuziosamente “i bellissimi segreti e mirabili modi che sono in nella grand’arte della oreficeria”, suddividendo l’opera in trentasei capitoli, ognuno dedicato a una particolare tecnica di lavoro, da “l’arte dello smaltare” fino al “gioiellare”, ovvero la lavorazione di quattro elementi: il rubino, lo zaffiro, lo smeraldo e il diamante. L’artista ha lavorato inoltre a scritti sull’architettura e sul disegno. Proprio in queste opere avviene una vera e propria nobilitazione di tali arti: seguendo quello che Lorenzo Bellotto, nella sua introduzione a La Vita, definisce “un processo di rivalutazione sociale” che andava rafforzandosi già dal Quattrocento, Cellini desidera dare grande dignità all’artista-artigiano, considerando presuntuosi coloro che ne sminuiscono il lavoro.
Oggi, chiunque passeggi sul Ponte Vecchio e si affacci ad ammirare il meraviglioso panorama, sia per scattare una foto sia per godere di cotanta bellezza, si imbatte nel busto di Benvenuto Cellini, opera di Raffaello Romanelli. L’artista è lì, tra i passanti, legato per sempre al ponte-monumento che è oggi simbolo nel mondo di lusso e artigianalità italiana, come a indicare la sua paternità dell’oreficeria, come a custodirla. E il legame con gli artisti si attesta nell’iscrizione del monumento: “A Benvenuto Cellini – maestro – gli orafi di Firenze”. La sua presenza rimane così eterna nel cuore di Firenze.